FIAT VAX
Storie, aneddoti raccolti e raccontati dai
“sanitari vaccinatori”
i vaccinatori di Niguarda hanno raccolto in un libro degno di grande stima le loro esperienze umane e professionali nel periodo più duro della pandemia. Con il permesso dell’editore, ve ne proponiamo qualche stralcio per farvi comprendere come, al di là del camice, c’è una persona che condivide le vostre paure e sofferenze, e può esservi di conforto.
Meraviglie di un mondo che non vediamo
di Maria Cristina Migliarese
Già anestesista Rianimatrice Dipartimento Cardiotoracovascolare ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda
Anche quella mattinata di vaccinazioni a Niguarda sembrava volgere al termine. Non era stata una giornata particolarmente impegnativa, comunque, ero contenta di chiudere la mia cartella e di andare a mangiare un panino prima di ritornare a svolgere la mia quotidianità con le mie ansie per paura di non riuscire a fare quello che mi ero prefissata. Inaspettatamente l’infermiera ci ferma:” Dottori non andate via perché sono stati aggiunti 30 disabili da vaccinare”. Confesso un po’ di sgomento sia per non essere stati avvisati del prolungamento orario, sia per la particolarità delle persone che stavano arrivando. Dalle precedenti esperienze dei colleghi sapevo che vi erano state alcune difficoltà nella gestione di questa categoria delicata con problematiche sia psichiche che fisiche. Velocemente arriva un primo gruppo di ragazzi e ragazze di età dai 20 ai 40 anni per lo più affetti da Sindrome di Down, ordinati in fila, alcuni tenuti per mano dal loro Istruttore, che affrontavano questa incognita della puntura dell’ago. La prima cosa che mi dicono è: “sentirò dolore? Venivano fatti sedere sulla poltrona e li rassicuravo con un sorriso dicendo che non si sarebbero neppure accorti dell’iniezione. “Abbiamo infermieri bravissimi.” Mentre dicevo questo veniva eseguita la vaccinazione. “La fai adesso?”, dicevano. “No è già fatta!” Ma non ho sentito nulla! Tendevano le braccia per abbracciarmi e mi davano un bacio. Ti voglio tanto bene mi dicevano. Mi lasciavo abbracciare e in quel momento tutte le mie paure di infettarmi scomparivano. Con il medesimo ordine andavano a sedersi per il periodo di osservazione felici e si scambiavano le loro impressioni. A questo gruppo ne è seguito un altro di persone adulte con lo sguardo perso nel vuoto, sedute su una carrozzina, accompagnate dai genitori. La cosa che mi ha subito colpita è stata la serenità e la dolcezza di queste mamme e papà, serenità di fronte ad avversità della vita difficili e insormontabili per chiunque di noi. Una signora accompagnava la sorella con Sindrome di Down:” vive con me, e a casa ho un figlio con la stessa patologia.” Siamo rimaste noi tre. Terminato il periodo di osservazione, tutti orgogliosi con la loro medaglietta che attestava l’avvenuta vaccinazione si sono preparati in fila, pronti per ritornare in Istituto. Superata la paura si tenevano per mano e cantavano. Nel giro di pochi minuti quel luogo asettico ospedaliero era diventato il luogo più sereno e allegro mai visto.
Ci ringraziavano ma sbagliavano perché ero io a ringraziare loro perché mi avevano regalato il loro sorriso la loro serenità e mi avevano dato una lezione di vita. Mi sentivo un verme nei loro confronti perché non avevo mai abbastanza apprezzato quanto mi era stato dato dalla vita: una laurea, un lavoro, una casa, una macchina, un cervello che mi ha consentito di fare scrivere e studiare e di essere lì in quel momento. Quel giorno sono ritornata a casa felice perché era come se mi avessero pulito degli occhiali sporchi con cui non riuscivo a vedere un universo meraviglioso davanti a me. Mi sono detta “mai lamentarsi perché non ho diritto, ringrazio la vita per tutto quello che mi ha dato e continua a darmi.
Maria Cristina Migliarese
Teofila, uno spiraglio di speranza…
di Maria Elisabetta De Ferrari
Medico Specialista Nefrologia. Nefrologia ASST GOM Grande ospedale metropolitano Niguarda (MI)
Una operosa e assolata domenica pomeriggio in via Ippocrate. L’infermiera introduce una donna sui 50 anni, piccola, in evidente stato di difficoltà, si siede in punta alla sedia, le due mani strette, l’una nell’altra. Una camicia immacolata, due piccole perle bianchissime ai lobi delle orecchie, occhi a mandorla, capelli neri e lucidi raccolti in una coda. Inserisco il codice fiscale e come sempre per rendere meno impersonali quei due-tre minuti di contatto tra vaccinando e vaccinatore, la apostrofo con il suo nome. “Benvenuta, Teofila. Come sta oggi?” Spero che riesca a cogliere dal mio sguardo il sorriso accattivante che sta sotto la mascherina. Teofila, che nome inconsueto, ne conosco il significato perché ho una nipote dal nome simile, e poi dalle reminiscenze scolastiche del greco: Amata da Dio. “Di salute fisica sto bene, di salute spirituale muy mal”. Ha un lieve accento spagnolo, probabilmente sudamericano. Mi mostra tre scatolette di psicofarmaci e benzodiazepine, che sta assumendo. La vicenda poteva concludersi così, nessuna controindicazione alla vaccinazione, prego si accomodi: “braccio sinistro?” Ma i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. Non potevo abbandonarla. “Teofila, cosa è successo?” Comincia allora una incredibile vicenda che rende il significato del suo nome almeno ingiusto. Sua figlia, peruviana come lei, sposa un giovane italiano, hanno due bambini di 2 e 4 anni. L’anno scorso la coppia ha un grave incidente stradale, lei muore sul colpo, lui qualche settimana dopo. I bambini (i miei bambini…) non possono essere affidati a lei, che a mala pena si sostiene col suo lavoro di donna delle pulizie e dunque vengono affidati alla sorella di lui, che ha due figli già adulti. L’anno del lock down è terribile, lei non riesce quasi a vedere i suoi bambini che abitano dunque con la zia. Passano alcuni mesi in cui lei non riesce ad avere informazioni sulla loro condizione e si stupisce dolorosamente di questo buco di notizie. Qualche settimana fa viene convocata dalla signora che le comunica di avere una malattia che le darà solo sei mesi di vita. Teofila crolla, cosa sarà dei miei bambini? Ed ecco lo spiraglio, Teofila alza gli occhi e mi fissa con uno sguardo adesso colmo di speranza, proprio la settimana scorsa il Tribunale dei Minori ha deciso di affidare a lei, nonna, i bambini ed alla scomparsa della zia abiteranno tutti e tre nella casa. “E poi dottoressa, ora che sarò vaccinata, potrò finalmente abbracciarli stretti e tenerli sul mio cuore”. Non è proprio un lieto fine, ma sono stata felice di averla ascoltata fino in fondo. E in qualche maniera grata anch’io di poterle permettere grazie al vaccino una rinnovata vicinanza ai suoi bambini.
“Buona fortuna, Teofila!”
Maria Elisabetta De Ferrari
Buongiorno, si accomodi!
di Laura Gabba
Infermiera, H. Niguarda. Attualmente presso centro vaccinale ex P.Pini (Mi)
“Buongiorno, si accomodi!”
Ripetuto più volte nella giornata può sembrare una cantilena priva di significato, che giunge alle orecchie come segno di cortesia e nulla più. Ma ad una più attenta riflessione ci si accorge che non c’è solo questo e ciò lo percepiamo giorno dopo giorno qui, al Centro vaccinale, dove più. Ma ed anziani si accostano, pieni di ansie, in attesa di una parola o un gesto che possa dare quella tranquillità nel pensare “faccio la cosa giusta per me e per tutti”, accompagnando così il desiderio più o meno inconscio di tutti”, accompagnando forse riprendiamo a vivere”. E la banalizzazione di pochi minuti concessi a ciascuno spesso si trasforma in momenti preziosi di ascolto, di sguardi rassicuranti, talvolta di paziente opera di persuasione a fronte di innumerevoli perplessità, e di sorrisi percepibili anche dietro un’odiosa mascherina.
E così, una tra le tante, oggi abbiamo accolto una giovane donna, bella, elegante, due occhi azzurri color di quel mare che si spera diventi meta tanto desiderata in questa estate anomala: si accomoda, è sicura di sé, anamnesi pulita, senza neanche un accenno di allergia che può rompere la monotonia delle domande, iniezione e via.
“Arrivederci, ci vediamo al richiamo. Avanti il prossimo!!”
Ma perché quel trambusto in corridoio? La giovane donna ha avuto un lieve malore, la adagiamo su un malore, la è madida di sudore, ma si sa, fa molto caldo, e poi l’emozione, la reazione vagale…ma gli occhioni blu si riempiono di lacrime, il trucco cola sulle guance, e tutto all’improvviso non è più così scontato, c’è una relazione complicata alle sue spalle, la preoccupazione per i figli che non devono sapere del suo cedimento, il desiderio di lasciarsi andare e farsi coccolare un pochino. Le porgo una garzino bagnata, per rinfrescarla, le offro un po’ d’acqua, la Tranquilla, è, è tutto finito “la rassicuro,” Non è solo ansia da vaccino, vero?” le dico. E lei ora piange silenziosa, mi guarda: “Non avvisi nessuno “mi dice e io la rassicuro, farò come vuole. Ma ecco dopo mezz’ora arrivano in rinforzi, il figlio, la mamma…lei mi guarda, i suoi occhi mi sorridono. Cosa sarà il suo tormento, non lo saprò mai, ma conosco la magia di due coccole….
Ora la mia esperienza da “vaccinatrice” sta per giungere al termine, a breve andrò in pensione. Ma dietro un lavoro routinario, privo, apparentemente, di stimoli professionalmente arricchenti, si cela un’esperienza colma di umanità, quell’umanità che in quarant’anni di servizio ho sempre ricercato in ogni mio gesto: alla sofferenza ho sempre cercato nel mio piccolo, di infondere speranza, attraverso le mie conoscenze ho provato l’orgoglio di sentirmi utile e di essere partecipe del benessere a cui ogni individuo deve tendere. E anche questa parentesi è stata perciò la conferma che ogni nostra pratica assistenziale deve essere accompagnata dalla consapevolezza che l’essere umano non è solo anatomia e fisiologia, ma fisiologia, ma…
Perciò… “BUONGIORNO SI ACCOMODI”
Laura Gabba
04 ottobre 2021