COVID – VARIANTI OMICRON

 

Chi ha preso OMICRON 1 è poco protetto contro BA.4/5

Il Covid fa ancora paura ma non si può allentare la guardia. Bisognerà preoccuparsene ancora per un po’.

Bisogna farlo per la sua elevatissima contagiosità, ben superiore a morbillo e varicella. Omicron 5 rialza i casi, continueremo ad averne di gravi, seppur in modo proporzionale.
Per non esser contagiati “da Omicron 5 non basta aver avuto il Covid e l’avere fatto tre dosi”, ha sottolineato il virologo Pregliasco: persone che si sono infettate negli ultimi mesi con Omicron BA.1, anche se vaccinate, potrebbero essere vulnerabili alle nuove sotto-varianti BA.4, BA.5 e BA.2.12.1; inoltre  le mutazioni accumulate dalle nuove sotto-varianti hanno conferito loro una maggiore capacità di eludere la risposta immunitaria sviluppata dopo un’infezione da BA.1, anche in chi ha fatto tre dosi di vaccino.

Eppure c’è chi sostiene che ormai sia solo un’influenza. «Diciamo che Omicron 5 è quattro volte tanto un’influenza forte». Siamo nel mezzo di una nuova ondata pandemica? «Siamo a metà strada, il picco ci sarà verso fine luglio».

In questo contesto tutt’altro che rassicurante, emergono le criticità delle varianti e delle sotto-varianti, anche perché la presenza di  nuove sotto-varianti allontana la possibilità dell’immunità di gregge. In Italia la sotto-variante B.A.5, sta rapidamente sostituendo la precedente B.A.2. 

 

Con Omicron si rischiano anche più casi di Long Covid (cioè di sintomi e problematiche che perdurano a lungo).

Unica difesa, la vaccinazione. Lo spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University, in un’intervista al “Corriere della Sera”. Chi è stato infettato con Delta ha una probabilità maggiore di andare incontro a long Covid, ma Omicron è talmente più diffusa e contagiosa da far prevedere agli autori un notevole incremento del long Covid in termini assoluti.

Del resto già nello studio tedesco ‘Epiloc’, il 20% delle persone (fra i 18 e i 25 anni) aveva riferito almeno una moderata compromissione del proprio stato di salute e della capacità lavorativa a distanza dall’infezione acuta – sottolinea Mantovani – altre stime inglesi parlano di disturbi nel 20% dei casi dopo cinque settimane e nel 10% dopo tre mesi. Indagini cinesi hanno evocato problemi anche dopo due anni.
I sintomi, a cominciare da dolori e spossatezza, sono di varia gravità e possono investire polmoni e bronchi, sistema nervoso, cuore,  rene, intestino, senza dimenticare l’impatto sulle funzioni metaboliche.

Annamaria Nosari


13 luglio 2022

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